La Smart City secondo Fjona Cakalli

La sua è una storia che sembra uscita dalla penna di uno sceneggiatore. È nata in Albania, a 4 anni è arrivata in Italia con i genitori, primi ballerini dell’Opera di Tirana giunti nel nostro Paese per fare gli insegnanti.

Lei voleva seguire le orme di mamma e papà, e di talento per l’arte di Tersicore ne aveva. Ma il fisico non era quello adatto. Così, con una dose di buon senso non comune a una ragazzina, ha cercato di realizzarsi altrove. E ha trovato la tecnologia.

Fjona Cakalli è così diventata una che, a riguardo, ne sa. A pacchi. Ha due blog: uno di tecnologia (Techprincess), l’altro di videogiochi (Gameprincess). Guida, e poi ti dice come è andata (The Driving Fjona).

Il futuro è parte integrante dei suoi giorni, così Futura non poteva non incontrarla. Ecco il suo «spunto di vista» sulla Smart City.


Chi sono?

Una ragazza che ama giocare,
con una bella storia alle spalle.

Te la racconto qui. 

Città intelligente? Fjona la vorrebbe così

Aree per giocare tutti insieme, e cittadini senza paura del futuro…

Il tuo primo videogioco è stato il Nintendo NES acquistato in Italia, avevi 4 anni e vivevi ancora in Albania. Giocare era un’esperienza avvincente che permetteva di stare insieme fisicamente. Oggi nelle città ognuno sta per conto proprio, lo “stare” insieme è una dimensione più da social network. Se potessi disegnare la città del futuro, che ruolo potrebbero avere i videogiochi per tornare a farci stare insieme fisicamente?

I videogiochi sono uno stare insieme. Chiedono a chi gioca di essere sia competitivi sia operativi, e questo significa fare squadra. Purtroppo non sono comunicati come si deve, anche perché da noi non sono ancora percepiti come un elemento della nostra cultura. In Giappone, per esempio, è diverso: in sala giochi vai in giacca e cravatta dopo il lavoro, con gli amici. Sarebbe bello, in una città del futuro, avere delle aree in cui ritrovarsi a giocare tutti insieme.

Schermata 2016-07-12 alle 16.20.33 Tutti gli esseri umani dentro vogliono giocare”, lo hai detto anche tu. Nella smart city la tecnologia fa si che le cose dialogano con altre cose e con gli umani in un unico sistema fatto di più livelli. Non è come vivere in un videogioco per grandi?

È così. Ma sarebbe più giusto dire che dovrebbe essere così. Però, per la question culturale alla quale ho accennato prima, la parola videogioco è un’etichetta per bambini. Gli adulti non lo capiscono, ed è questa la mentalità da cambiare. Se il loro punto di vista fosse diverso, forse anche l’innovazione non farebbe più paura: ne senti parlare tantissimo, ma capisci anche come venga mal percepita dalle persone.

La vita è come un videogioco in cui impari a risolvere dei problemi. Pensi fuori dagli schemi per riuscire a farcela”. Questa è la tua filosofia. La pubblica amministrazione è un Godzilla pigro che si nutre di burocrazia. Se un giorno arrivasse una Principessa del gaming e applicasse la sua filosofia alla PA, non sconfiggerebbe la bestia risolvendo tutti i problemi?

Sarebbe, prima di tutto, un box di fine livello. Una sfida durissima, per la quale dovresti aver sviluppato destrezza e velocità, e aver conservato tutte le vite a disposizione. Il problema della PA, come sanno tutti, è che spesso è ferma, incrostata e immobile. La Principessa di cui parli dovrebbe adottare le tecniche del pensiero laterale dei videogiochi, accerchiare l’avversario per sconfiggerlo senza affrontarlo direttamente. Dovrebbe essere scaltra, capace di adottare questa tecnica come un processo naturale del quale quasi non accorgersi.

Giocare: non è la cosa più bella del mondo?

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I video sono al centro della tua attività e della tua vita, anche quando guidi. Come potrebbero i video rendere una città più smart per cittadini e turisti?

I video hanno l’immenso potere di spiegare le cose con semplicità, di raggiungere chiunque e di andare dritti al punto. Le immagini hanno un potere superiore alla parola scritta, vincono la svogliatezza di chi riceve il messaggio e sono quindi il mezzo ideale per raccontare. La smart city, che è ancora tutta da scoprire, è un tema ideale da raccontare con i video, facendo capire cosa ci permette di fare nel modo più semplice possibile.

Fjona, l’intervista è finita e ora non ci ascolta più nessuno. Ora puoi dircelo: ma non era più bello vivere nelle città di 30 anni fa, con i negozietti, la bachelite, i telefoni a gettoni e zero tecnologia?

Non viviamo in un presente alienante. Si tratta di percezioni: i negozietti ci sono ancora, così come gli amici che passano a citofonarci invece che cercarci sui social network. La tecnologia ci aiuta a vivere meglio, non è una cosa programmata per mangiarci. Per dire, un’app può aiutarmi a scoprire un antiquario o un bel negozietto in una via della mia città. Certo, la vita non è esattamente quella di 30 anni fa, ma quel tempo non è stato distrutto dall’evoluzione tecnologica. L’importante è non temere il futuro e la tecnologia, ma cercare di capirli e usarli come strumenti che ci possono portare solo vantaggi.

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